Tuesday, January 20, 2009

Newtons Gravitätlichkeit

"Als ich ein bambino war..." mi aveva detto S. una volta, e poi si era interrotto e aveva iniziato a fissarmi in cerca di approvazione, come ogni volta che tentava una seppur vaga incursione nell'italiano.
Gli avevo fatto un sorriso e poi avevo cercato di ascoltare il seguito del racconto mentre facevo la spesa, ma avevo cominciato a pensare a Bergman, e a quel discorso sugli svedesi che non sono capaci di fare più cose contemporaneamente, e al fatto che secondo questa premessa sarei stata un'ottima svedese, e inevitabilmente mi ero già persa metà del racconto, che comunque trattava del furto di un carrello al supermercato.
Troppo poco svedese, avevo pensato, ma lui aveva già cambiato discorso, mentre ora quella storia del carrello mi incuriosiva moltissimo, e volevo capire almeno che fine avesse fatto, se ce lo avesse ancora, se lo avesse venduto, se qualcun altro glielo avesse rubato.
In fondo, avevo pensato, se ce lo avesse ancora ormai sarebbe stato una sua proprietà, almeno moralmente, come i carrelli dei barboni, che li usano come armadi, come letti, come macchine, come case, e anzi a pensarci bene rubare un carrello era quasi un investimento.
Invece lo avevo guardato per un po' mentre cercava di prendere un panino dalla teca, con le pinzette, e gli avevo detto soltanto che sarebbe stato bello nascere a Västerås.
Lui aveva catturato il panino e aveva annuito, e del carrello non ho saputo più nulla.

Sunday, November 16, 2008

Les Triplettes de Belleville / Appuntamento a Belleville

Monday, November 10, 2008

City light(s)

C'è un momento, anche nella più tersa e soleggiata giornata autunnale, in cui il sole volge al tramonto e lascia spazio alla luce offuscata, pesante, palpabile dell'umidità preserale.
Si sta comodi, nel cappotto leggero, e l'aria fresca sembra più pulita.
Alla radio, in macchina, davano "Hedonism", e tutti i nodi si sono sciolti come una madeleine.
Non ricordo bene che anni fossero, ma ricordo quel ragazzo che girava su una vespa rossa con un bastone di ferro piantato sopra, che io vedevo contemporaneamente piantato in uno dei suoi occhi dopo un incidente.
Credo che fosse lui, ad ascoltarli.
Ricordo che io, invece, ascoltavo Bon Jovi e un po' me ne vergognavo già.
Ricordo che fu quello il periodo in cui iniziai a scrivere, a scrivere spesso, a scrivere tanto, a scrivere lettere, (pochi) racconti, articoli o semplicemente frasi e parole.
Disegnavo sul banco, sottolineavo i libri, rubavo i gessi, scrivevo sempre "ciao" a mia madre sulla lavagnetta dell'ufficio.
Non riuscivo, e non riesco tuttora, a leggere nulla senza avere una matita a portata di mano.
(Ormai, credo, è proprio una questione psicologica.)
Scrivevo lettere che ancora conservo e ne ricevevo altrettante, che ogni tanto rileggo, non senza una certa malinconia.
Suonavo tanto la chitarra perché mi ricordava M., che me la accordava con una pazienza di cui dovrò, prima o poi, rendergli merito.
Avevo persino scritto una canzone, senza testo, solo la musica, e l'avevo scritta quasi inventando un linguaggio musicale a me sconosciuto.
E poi il giornalino della scuola, la nonnetta e l'articolo in cui tutta la mia adolescenza si palesava nella citazione (mon dieu!) di Enrico Brizzi, che ora mi fa una tenerezza infinita, quando riesco a non vergognarmene.
Tutte queste cose ho pensato in quei 5 minuti in macchina, quando probabilmente la musica era già cambiata, e l'aria si era già fatta più fredda, e la luce buia, e m'è sfuggito un sorriso, perché mi mancavano da un po', la consapevolezza dell'autunno, la sensazione di leggerezza e la percezione del cambiamento.

Saturday, October 25, 2008

Monday, October 20, 2008

Nächster Zug: U6 in Richtung Heerstraße, über Alte Oper und Bockenheimer Warte

Dopo il fiume, la prima cosa che mi fa sentire a casa a Francoforte è la metropolitana.
E' la metropolitana perché a Bologna non c'è e i primi giorni mi faceva strano scendere sotto terra con le scale mobili.
Perché, sempre nei primi giorni, dovunque salissi e dovunque scendessi, era il mio scivolo verso un posto nuovo.
E' la metropolitana delle tante stazioni in cui, nonostante tutto, non ho mai messo piede.
E' la metropolitana dei ritrovi alla Alte Oper, dei mercoledì al Jazz Keller e dei giovedì al Club Voltaire.
E' la metropolitana delle corse dell'ultimo momento dietro chi, dalla scala mobile, ha sentito il treno arrivare.
E' la stessa metropolitana con cui ho portato a casa lo stendino, quella in cui c'è sempre posto a sedere, quella che in alcuni punti esce in superficie e sembra così strana.
Oppure la metropolitana dei ciclisti che salgono con le loro biciclette.
Quella dei giorni in cui ci entravo per noia e prendevo il treno in direzioni casuali, quella con cui mi piaceva viaggiare da sola, anche la sera.
E quella della stazione di Bockenheimer Warte, dove facevo colazione con un Apfelrolle. E con un caffè, chiaramente.
E' la metropolitana, infine, che attraversa il fiume, che traghetta all'altra sponda, quella da cui si esce a Sachsenhausen, ma ogni volta è come uscire a Londra, a Berlino, a New York, ogni volta è un altro mondo e tutto il resto è rimasto fermo, al di là del fiume.

Thursday, October 09, 2008

Sour Times

Il punto è che non ho niente da scrivere.
Ogni tanto passo di qua e mi ascolto Beth Gibbons di nuovo, in una specie di spirale autistica.
E poi me ne vado.
E basta.

Monday, September 29, 2008

Thursday, September 25, 2008

:D

Tuesday, September 16, 2008

You're so cute when you're slurring your speech

Una volta ho fatto una visita da un otorino, mi faceva male il naso o una cosa così.
Mi ha chiesto perché mi tremasse così la voce, e ha ipotizzato anche lui che fossi pazza.
Penso spesso a che impressione io possa fare alla gente quando sono agitata.
Se ne accorge? Non se ne accorge? Ho la sensazione che se ne accorga ma non se ne accorge?
Mi concentro ma non ne esco viva.
Forse se ne accorge e pensa che io sia pazza, solo che non si sente in diritto di dirmelo come se fosse un medico a cui ho chiesto perché mi faccia sempre male il naso.
Respiro e faccio finta di essere io a non accorgermene, il che alimenterà di sicuro la loro sensazione che io sia pazza, e anche inconsapevole.
I primi giorni grigi sono come un risveglio senza sveglia.
Apro la finestra e anche se non ho dormito mi sembra tutto così bello.
Solo bello.
Leggevo un commento sulla morte di David Foster Wallace e pensavo che certe sensazioni spiacevoli dovrebbero raggiungerci solo in inverno.
Non è la stessa cosa sentirsi malinconici in estate, con i vestiti sudati e la pelle appiccicaticcia, con quella sensazione fisica di disagio che non lascia spazio a nient'altro, l'unica cosa che riesci a percepire è il disagio fisico, e se c'è dell'altro, beh, deve comunque fare a botte con i capelli bagnati, col desiderio di entrare in un supermercato e non uscirne più, e non è bello essere malinconici in un supermercato.
Non è la stessa cosa di potersi nascondere sotto una coperta pesante, di camminare inzaccherati sotto la pioggia rinchiusi in un cappotto pesante che sempre più ti trascina a terra, di uscire di casa e trovare un mondo buio di lucine artificiali, non è la stessa cosa nemmeno lo sguardo triste della gente intorno, che odia i pantaloni inzaccherati e la routine invernale, non è la stessa cosa.
E poi, penso, Wallace era quello del racconto della mamma con l'espressione perennemente terrorizzata, e cosa c'è di più terrorizzante della tristezza della gente in un freddo, buio, lunedì d'inverno?
Sono tutti più piccoli e silenziosi.
Sono piccoli e in estate non se ne accorge nessuno, e quando se ne accorgono è inverno e gli fa tutto schifo e perdono la voglia di parlare e non vedono l'ora che torni la luce.
Io vivo al polo sud e vivo, capovolta, a testa in giù.

Saturday, September 13, 2008