Monday, November 26, 2007

Io personalmente preferisco la gente insana di mente



(please listen while reading)
L'indirizzo era Viale del Risorgimento, 4.
Lassù, fra gli alberi, ci arrivavo in scooter, dopo una mezz'oretta di viaggio attraverso un centro storico che potevo ancora attraversare senza rischiare la multa.
L'ultimo pezzo, oltre il cancello, sembrava l'ingresso nel giardino di qualche villa, una strada a zig zag in mezzo al verde, in salita.
Giù al cancello incontravo spesso i miei vecchi compagni di scuola, quella grande parte di loro che aveva scelto di iscriversi ad Ingegneria, e che io, dall'alto del parco, al di là degli alberi, osservavo aggirarsi in quella che mi pareva una mezza prigione.
Avevamo anche gli scoiattoli fuori dalla finestra, noi.
Avevamo la vodka alle macchinette per il caffè, anche se nessuno oltre me se la ricorda.
Avevamo lezione in aule molto più grandi del nostro misero numero.
Avevamo, in dotazione, gli occhiali di plastica da laboratorio, ma solo i primi, perché, ci dissero, in un avvertimento che aveva un che di materno, "chi li rompe, se li ricompra da solo".
Il camice, invece, quello andai a comprarlo con mia madre in un negozio in via Massarenti, che vendeva abiti da lavoro e teneva in vetrina dei vestitini da cameriera colorati e col colletto largo.
C'era E., che conoscevo da anni perché era nella mia stessa scuola, E. che chiamavamo tutti M., M. che aveva quella vocina flebile, M. che era alto alto e quando mi prendeva in braccio mi faceva sempre cadere, che era il mio punto di riferimento, quello con cui avevo fatto la fila in segreteria per l'iscrizione, quello che nelle ore di matematica mi rubava il quaderno e ci scriveva le canzoni di Battiato.
Poi c'era S., che era di Rimini, che veniva dal liceo classico ed era l'unica che capiva i miei deliri letterari, S. che, ora che ci penso, mi ricorda tanto Rita, S. che lasciò chimica come me, lo stesso anno, ma per iscriversi a biologia insieme ad un ragazzo pelato.
E Mat. che mi diceva sempre che ero troppo grande per le matite colorate, e A. che aveva una massa di capelli ricci in cui si incastravano perfettamente i pallini di carta che gli lanciavamo durante le lezioni, lui che veniva da Campobasso, e che insieme a Mat. è l'unico che ho rivisto una volta, dopo che me ne sono andata.
E i pomeriggi a casa di S., in cui fra una tazza di tè e l'altra si poteva parlare di Foscolo come di stechiometria, perché S. era polivalente e mi piaceva per quello.
Mi chiedo spesso, se non avessi lasciato perdere subito, come sarebbe ora la mia vita.
Matteo mi diceva sempre che la matematica gli piaceva perché gli dava la sensazione che, a volte, si potesse e dovesse giungere ad un risultato certo, senza se, né ma, senza interpretazioni, senza "secondo me" che portano a legittimare tutto, e danno quella sensazione di incertezza generalizzata in cui vivo tuttora.
Quando lo diceva eravamo a scuola, e per quanto opinabile, credo che un po' di ragione da vendere, lui, ce l'avesse.
Vivere e studiare in mezzo ai se e ai ma non è per niente stabilizzante.
Finisci per vivere, un po', come me, sovrappensiero.