Non mi ricordo come fossero le feste quando ero bambina.
Mi ricordo di un Natale in cui mia nonna cadde dalla sedia ed io scappai vigliaccamente senza tirarla su da terra.
Mi ricordo la mia comunione o cresima o quel che era, in cui la mia amica indossava un paio d'occhiali scuri e sembrava fosse cieca.
Io avevo un vestito bianco con un fiocco giallo davanti, fatto su misura per l'occasione.
Nelle foto c'era ancora il mio nonno, magro, dal viso scavato e tutti i muscoli avvolti in un vestito grigio-blu elegantissimo.
Della comunione di mio fratello, invece, ricordo solo la sua compagna di classe obesa e scimmiesca, che ancora sbavava all'età di 8 anni e io non riuscivo a staccarle gli occhi disgustati di dosso, mi ipnotizzava quella specie di animaletto grassoccio che produceva tutta quella saliva e la lasciava sgorgare libera spalancando le fauci davanti al parroco, che per una volta aveva tutta la mia comprensione.
Il primo capodanno fuori casa l'ho passato a casa della mia amica storica, abbiamo ascoltato musica da discoteca e lanciato pezzi di panettone dalla finestra, ballando.
Per anni, a Pasqua, siamo andati tutti in Sardegna, così mia madre poteva ripetere all'infinito quanto fosse bella, calda, selvaggia in primavera ed io passavo le mie giornate rinchiusa in taverna a leggere e tener d'occhio le trappole per topi.
Del pane fatto in casa da mia zia, per -natale, e della sua
mousse di granchio ho già parlato e credo sia giunto il momento di rimuoverlo per sempre.
Ad una mia amica, per il compleanno, regalai un libro dal titolo
"Il pomodoro dell'inconscio".
La cosa stupefacente fu che si rivelò anche un regalo gradito.
Feste per il mio, di compleanno, non ne ho mai avute fino all'adolescenza o, in caso contrario, non le ricordo minimamente.
D'altra parte sono cresciuta senza merendine, senza caramelle, senza chewing gum, Coca Cola, senza l'allegro chirurgo, senza i Goonies, senza I ragazzi della 3° C, né quelli del muretto, né Beverly Hills, né musica diversa da Bob Dylan e Harry Belafonte, e la cioccolata dovevo andarla a rubare dal cassetto dell'armadio di mia nonna.
Guardavo Heidi e la chiamavo Heide e mia madre mi prendeva per il culo.
Le Barbie qualcuno me le regalava e finivano a prendere il posto dell'allegro chirurgo, insieme al coniglio di pelouche con cui giocai a fare il dentista e il mio pupazzo semi-umano che ha il morbillo da oltre 20 anni perché il pennarello era indelebile.
Il primo
autoritratto che disegnai fece sorgere nelle maestre dell'asilo l'idea che avessi qualche problema nella testa.
A me sembra tuttora la più lucida e fedele raffigurazione di me stessa che sia mai stata fatta.