Venerdì 4 novembre 2005: CookiesCominciano a delinearsi i pro e i contro.Innanzitutto, il lavoro alla Buchmesse: meraviglioso. Anche se non ho visto nulla della fiera, anche se sono rimasta piantata allo stand per 5 giorni, anche se ho riempito da sola 10 scatoloni di libri e ho aspettato invano per ore che venissero a ritirarli, anche s i primi giorni avevo la febbre e il raffreddore, anche se. Meravigliosi i libri che avevamo, meraviglioso svegliarsi alle 7 del mattino e tornare a casa distrutta alle 7 di sera, meraviglioso entrare insieme a tutta quella gente incravattata e ben vestita, meraviglioso essere tornata a casa con parecchi libri regalati, meraviglioso.Le due settimane di lezione, invece, sono volate, e mi sento già indietro, e devo passare il fine settimana a leggere Platone e Poe. Non ho ancora capito quanti crediti mi diano per ogni esame e sarà bene che lo capisca presto.Il seminario di Busch è stupendo, e il mio unico rammarico è non avere abbastanza conoscenza della lingua per poter partecipare in modo attivo. Ma mi piace. Un sacco.Oggi è venerdì e non ho lezione. Piove, da un paio d'ore, e c'è talmente tanta nebbia che non si vede la cima dell'Europa Turm. Mi sembra un po' domenica, alla tv ci sono un sacco di telefilm americani doppiati orribilmente in tedesco, mi sono svegliata tardi e so di non avere nulla da fare. Domenica, appunto.E ora mi vesto, prendo il tram, e arrivo a Sachsenhausen, a comprare quei biscotti buonissimi in Schweizerstrasse, e a passeggiare fra quelle stradine fumose piene di bar, di negozi particolari, di casupole che ricordano quasi un'altra Germania. Con quest'aria fredda e umida che tanto mi piace. Non è la mia Bologna "avvolgente e bella come non mai" (Lori, chissà se leggerai, ma quanta nostalgia mi hai messo con questa frase..), ma con un po' di fantasia arriva ad assomigliarci. E per fortuna i viaggi con la fantasia sono una delle mie specialità.
Sabato 5 novembre 2005: I love....le candele
i sigur ros
il rumore delle foglie secche sotto le scarpe
le giornate umide e grigie
il riso
i ponti di stoccolma
gli orsi
la storia
goodbye lenin
Andrea
i biscotti durissimi che faceva mia nonna
il caffè
gli abbracci
la luce dei lampioni riflessa sulla neve
il cappello da cacciatore del giovane holden
dostoevskij
il miele
cathy and heathcliff
bergman
la boriola di elia
quackless
il ticchettìo della pioggia
la barba del mio papi
..il mio cane
Sabato 5 novembre 2005: Frankfurter HerbstOggi qui a Krankfurt c'è un'arietta frizzante.Il sole ti guarda beffardo da lontano, illuminando a tratti la strada, le foglie gialle a terra e le persone infreddolite avvolte con cura nelle loro sciarpe.In lontananza, dal balcone, si può scorgere il treno, ogni tanto, correre rosso attraverso quello che da lassù pare un fitto mare di alberi spogli.L'aria tersa rende più evidente quel freddo che pareva non voler arrivare.Niente nebbia, niente pioggia, solo un paio di grosse nuvole grigie che non lasciano spazio all'azzurro del cielo. Puoi vederlo, se ci fai caso, perché non riescono a coprirlo tutto. Ma puoi anche non farci caso, perché non è lui il protagonista delle giornate autunnali.Oggi qui a Bankfurt c'è bisogno dei guanti, perché il calore donato alle tue mani dal tepore casalingo svanisce subito al contatto con l'esterno.Se apri la finestra senti l'aria entrare, muoversi e riempire la stanza in poco tempo.E c'è più soddisfazione a bere un tè caldo, guardando fuori, e poi dentro, e poi fuori.Il buio è sceso in fretta, e mi è quasi dispiaciuto.Le luci rosa e artificiali dell'Europaturm non reggono il confronto con quella luce pallida, fredda, ma così semplicemente bella, anche se filtrata da un grigio insistente.Oggi, Frankfurt, era un po' più bella del solito, nel suo freddo vestito invernale.
Domenica 13 novembre 2005: Adventskalender (that’s why I love christmas)Quando ero bambina io c’erano i calendari dell’avvento.C’erano a casa mia, s’intende.Da quelli con le finestrelle che si aprivano su svariata iconografia religiosa, a quelli con lucine fioche e disegni natalizi, a quelli ben più graditi le cui finestre nascondevano venticinque cioccolatini, e che consentivano al Natale di arrivare con almeno dieci giorni di anticipo perché il 15 di dicembre erano già tutti finiti, e le finestrelle rigorosamente aperte e spoglie.Ogni anno, finché non ho avuto un’età che mi rendesse capace di discernere il vero dal falso, mio padre si calava nei panni di Babbo Natale. Ma non in maniera tradizionale, no, mio padre non si vestiva da Babbo Natale. Era una sorta di gioco fra noi, sottile da parte sua, realtà da parte mia. Mi raccontava che Babbo Natale, dalla lontana Finlandia arrivava fino da noi stanco ed affamato, e che sicuramente avrebbe gradito rifocillarsi un po’. Gli lasciavo sempre un bicchiere di latte. E lui mi lasciava un biglietto scritto in quel poco di italiano che conosceva, che recitava più o meno "Krazie del bon late, Babo Natale". Un anno, regalarono a mio fratello un camioncino sorridente, che rispondeva al richiamo di "George!!", e correva verso di te. Diventammo pazzi, entrambi. Chissà che fine ha fatto, George. Probabilmente qualche cugino/nipote/figlio di parenti o amici ci ha giocato fino a romperlo, o fino a che non ha pensato di regalarlo e proseguire la catena. Ma dubito che anche uno qualsiasi di questi cugini lo ricordi con nostalgia come faccio io ora.C’era il carbone dolce, e c’erano le passeggiate al mercatino di Santa Lucia, c’era mia nonna con quell’albero finto e striminzito, a cui bastava spiegare un po’ i rametti plasticosi perché tentasse, con tutta la poca forza che aveva, di comunicarti sensazioni di festa, come era suo dovere. E lo fa ancora, e a tutt’oggi io lo preferisco a tanti alberi belli, grandi, luminosi ed addobbati. E c'erano le passeggiate a cercare il muschio da appoggiare sul presepe, e c’era quella sensazione che, in fondo, il presepe fosse una di quelle cose che non c’entrano nulla col natale.C’erano i regali di mia zia, che rigorosamente finivano nell’armadio per essere indossati l’anno successivo, a Natale.E la neve, e quel freddo pungente, e la sensazione di essere grande nel far credere a mio fratello piccolo che Babbo Natale esistesse davvero. C’erano tutte queste cose, e dire che si sono perse sarebbe falso e fuorviante.Questo per tutti quelli che mi dicono con disgusto che Natale è una merda perché è una festa commerciale, perché è la festa dell’ipocrisia, perché un conto è se credi in dio, ma altrimenti è tutta fuffa.Io in dio non ci credo, eppure a Babbo Natale piaceva il latte, e questo bastava.
Mercoledì 16 novembre 2005: Termin mit Professor Epple"Sehr geherte Giulia,entsprechend unserem Gespräch von heute habe ich mit Prof. Epple einen Termin für Sie für den Mittwoch 16. November um 12:30 vereinbart. Mit freundlichen Grüßen"
scriveva Judit Delombre, la segretaria, a meno di un’ora dal suddetto colloquio. Efficienza teutonica, anche se Frau Delombre è stata catapultata in quel di Frankfurt dall’aggraziata terra francese. Ti presenti allora in un cupo mattino palesemente tedesco, all’ufficio di Herr Epple, con in mano una documentazione che sfiora livelli decisamente eccessivi di lunghezza, e che pecca peraltro in chiarezza.
Tu *bussando*: "Posso?"
Frau Delombre *cercando di camuffare l’accento francese*: "Prego, lei è qui per il professor Epple?"
Tu: "Esattamente."
Frau D. *liberando una sedia dai numerosi incartamenti poggiati sopra*: "Può sedersi e aspettare un attimo, il professore è ancora occupato."
Ti siedi.
Guardi intorno.
Dalla finestra si scorgono i soliti grattacieli, e un cielo dalle nuvole stanche. Fa caldo, dentro. Frau Delombre è intenta nella correzione di un testo francese di cui non riesci a leggere che qualche riga. Profumo di caffè in tutta la stanza.Passano cinque minuti, al termine dei quali Frau Delombre, dimostrando di aver appreso in pieno i rudimenti dell’etica tedesca, si alza e bussa alla porta di Herr Epple. Sono esattamente le 12.30.Parlotta confusamente, si volta, e ti fa segno di entrare.
Tu *entrando nella stanza*: "Buongiorno."
Herr Epple siede alla sua scrivania, gli occhi risucchiati dal monitor del computer, tenendoti la schiena. Non proferisce parola.Ti porti lentamente vicino alla finestra, lo guardi mentre tenta invano di staccare gli occhi da quel monitor, ma senza esito positivo.
Tu *schiarendoti la voce*: "Herr Epple?"
Herr Epple *richiamato improvvisamente all’altro mondo e un po’ spaesato*: "Si, buongiorno, prego, si sieda." E indica una sedia.
Herr Epple *ormai ritornato al nostro mondo*: "Cosa posso fare per lei?"
Tu *come recitando per l’ennesima volta la preghiera che speri possa portare ad una totale assoluzione*: "Sono una studentessa erasmus –segue monologo confuso alternato da pause di riflessione/ricerca di improponibili termini da 7 parole in una nel groviglio della tua mente, che può felicemente essere riassunto in: quanti cavolo di crediti posso avere per un maledetto seminario?".
Il monologo dura circa 5 minuti, comprese le pause.
Herr Epple ascolta muovendo il sopracciglio.
Pensa.
Poi dice *serafico*: "Questo, con precisione, non glielo so dire."
……
Tu *raccogliendo da terra tutto il tuo autocontrollo*: "Quindi?"
Herr Epple si alza, corre ad uno scaffale, estrae un grosso fascicolo polveroso, lo appoggia sul tavolo, cerca ansiosamente per qualche minuto. Torna e pronuncia la sua sentenza, perentorio: "Proseminar 8 crediti, Vorlesung 2 crediti, Ubung 3 crediti."
Ti guarda con soddisfazione.
Lo guardi con odio.
Rinunci a chiedere spiegazioni più dettagliate, ma azzardi un: "Vale per tutti i Proseminar e le Vorlesung?"
Herr Epple *confuso*: "No. Solo per quelle di storia."
Tu *terribilmente avvilita*: "E, per le altre, a chi posso chiedere?"
Herr Epple si illumina, sorride, corre verso il computer blaterando qualcosa, e si rituffa nel monitor. Resta lì dentro qualche minuto. Poi esce, sempre più soddisfatto e sentenzia *indicando lo schermo*: "Professor Raykowsky. Vuole il numero di telefono? Su internet lo trova, vede?"
Scrivi il nome del professore, rispondendo con un cortese: "No, la ringrazio."
Herr Epple si stacca dal monitor, per congedarsi dopo aver assolto il suo dovere. Si avvicina, getta uno sguardo al foglio dove stavi scrivendo, coglie l’errore fatale, e non riesce a non correggerlo: "RaYkowsky, con la Y, non con la I.".
Si sente al culmine della giornata.
Correggi, sconsolata, saluti garbatamente e ti dirigi verso la porta, mentre lui, fluttuando in una bolla di sapone, saluta: "Arrivederci, buona giornata, quando ha fatto tutto, a fine anno, torni da me che formalizziamo la cosa!"
Apri la porta, e la richiudi alle tue spalle.
Nella stanza, Judit Delombre, è ancora intenta a correggere quel testo in francese.